Nel XX Convegno della SLPcf dal titolo L’entrata in analisi e i suoi preliminari, che si è tenuto lo scorso maggio a Napoli, dopo circa 30 anni siamo tornati a interrogarci su come iniziano le analisi, con la necessità di verificare i cambiamenti delle condizioni che generano oggi la domanda indirizzata a un analista e al tempo stesso la nostra capacità di reinventare la pratica.
Jacques-Alain Miller nel suo intervento pronunciato a Torino nel 1994 L’inizio delle analisi dice: “Sappiamo che quando autorizziamo un soggetto a iniziare l’analisi gli diamo accesso a un nuovo modo di godere dell’inconscio e dobbiamo sapere come si soddisfa la pulsione nell’analisi e con il transfert, accordata all’oggetto niente”[1], e ancora: “Infatti la pulsione non fallisce mai, può mancare la presa, ma arriva sempre alla sua meta”[2]. Il tema è stato lavorato lo scorso anno e ha dato luogo al XX Convegno.
Alla domanda di come si entra in analisi segue logicamente quella relativa alle “possibili uscite dall’analisi”.
Nel libro Come finiscono le analisi. Paradossi della passe, J.-A. Miller riporta un suo intervento del settembre del 1992, pronunciato a Milano all’interno di un Atelier della Scuola Europea di Psicoanalisi: “Nelle congiunture di attivazione dell’uscita dall’analisi entrano in gioco due concetti che compongono un’espressione originale mai impiegata fin qui: il primo è quello di uscita dall’analisi. Il più delle volte si è riflettuto sulla fine dell’analisi, intendendo come fine il suo compimento. Si considera poi un altro campo di esplorazione accanto a quello della fine che è, per esempio, quello della sua interruzione. È però difficile dire che ogni analisi non compiuta sia interrotta. Alcune analisi terminano effettivamente con un: è finita, quando ma­gari né l’analista né l’analizzante pensano sia stato ottenuto il non plus ultra per il soggetto, ma senza che ciò prenda la forma della rottura. Si sente quindi la necessità di introdurre un concetto più ampio e anche più indifferenziato, simmetrico a quello di ingresso in analisi, che è semplicemente quello di uscita dall’analisi”[3].
Sappiamo che Sigmund Freud nel saggio del 1937 Analisi terminabile e interminabile interrogandosi su cosa s’intenda con l’espressione “fine di un’analisi”[4] dica inoltre che è facile definirla sul piano pratico, cito: “L’analisi è terminata quando paziente e analista smettono di incontrarsi in occasione delle sedute analitiche”[5]. Nello stesso testo continua affermando che ciò si verifica nel sussistere di due condizioni: la prima è che sul versante del paziente, egli non soffra più dei suoi sintomi, abbia superato le sue angosce e le sue inibizioni, sul versante dell’analista che egli giudichi sia stato reso cosciente gran parte del materiale rimosso, siano state chiarite tante cose inesplicabili, siano state debellate tante resistenze da non temere il rinnovarsi di processi patologici.
Freud precisa che se queste due condizioni non si sono verificate per cause esterne, è meglio parlare di analisi incompleta e non di analisi non finita.
Al concetto di “fine di un’analisi” Freud attribuisce un significato di gran lunga più ambizioso, ovvero: “[…] se l’azione esercitata sul paziente sia stata portata avanti a tal segno che da una continuazione dell’analisi non ci si possa ripromettere alcun ulteriore cambiamento. Dunque è come se mediante l’analisi si potesse raggiungere un livello di assoluta normalità psichica, al quale, per di più, fosse lecito attribuire la facoltà di mantenersi stabile”[6].
Poche pagine dopo Freud scrive: “Quasi sempre esistono manifestazioni residue, un parziale restare indietro”[7]. Quasi a smentire l’esistenza della fine di un’analisi.
Alla fine del suo saggio, e a soli due anni dalla sua morte, Freud si lascia andare a una amara constatazione: “[…] la resistenza non consente che si produca alcun mutamento, tutto rimane così com’era. Abbiamo spesso l’impressione che con il desiderio del pene e con la protesta virile, dopo aver attraversato tutte le stratificazioni psicologiche, siamo giunti alla roccia basilare, e quindi al termine della nostra attività”[8]. Possiamo riassumere nel rifiuto della legge paterna della castrazione, l’impasse di Freud, e su questo l’arresto dell’analisi.
Jacques Lacan, per superare l’impasse di Freud, indirizzerà l’esperienza analitica verso il reale del godimento, al di là dell’Edipo e al di là del fallo, fino all’assunzione della posizione femminile e non più al suo rifiuto.
Dalla Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola: “Il passaggio da psicoanalizzante a psicoanalista ha una porta il cui cardine è quel resto che costituisce la loro divisione, dato che questa altro non è che la divisione del soggetto, di cui quel resto è la causa”[9].
Da qui l’invenzione da parte di Lacan della Procedura della Passe che ha come punto centrale la trasmissione di sapere su tale passaggio e sul sorgere del desiderio dell’analista.
In questa distinzione tra “fine analisi” e “uscite dall’analisi” al plurale, nelle loro differenti articolazioni, si colloca l’orizzonte entro il quale stabilire i lavori del XXI Convegno della SLPcf del 25 e 26 maggio 2024 a Milano.
Comunico inoltre, che il Consiglio ha nominato i direttori del XXI Convegno della SLPcf: Matteo Bonazzi, Florencia Medici e Sebastiano Vinci.

Care colleghe e cari colleghi, buon lavoro!

Laura Storti


[1] J.-A. Miller, L’inizio delle analisi [1994], in I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma 2001, p. 147.
[2]Ivi, p. 148.
[3] J.-A. Miller, Sull’attivazione dell’uscita dall’analisi: congiunture freudiane [1992], in Come finiscono le analisi. Paradossi della passe, Astrolabio, Roma 2022, p. 202.
[4] S. Freud, Analisi terminabile e interminabile [1937], in Opere, vol. 11, Boringhieri, Torino 1979, p. 502.
[5]Ibidem.
[6]Ivi, p. 503.
[7]Ivi, p. 511.
[8]Ivi, p. 535.
[9] J. Lacan, Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola [1967], in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 252.

DIBATTITO PREPARATORIO

Le uscite dall’analisi, al plurale. Dunque molte, diverse, più uscite. Sortie, salida, ausgang, exit, uscite.

Tante quante sono i modi di attraversare l’esperienza stessa. A questa pluralità fa da controcanto la passe, una sola volta. Se i modi di uscire sono molti, la porta della passe è una sola.

In Davanti alla legge, Kafka narra di un uomo di campagna che passa l’intera vita davanti al portone della legge il cui accesso è sorvegliato da un guardiano, fino a quando, ormai vecchio, gli domanda: “Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?” – e in risposta si sente dire: “Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo’”.

Si esce senza finire, o per finire ancora e altrimenti. In ciascuna delle molte uscite, l’unica volta del singolare risuona e così dischiude la scommessa del passaggio. Si scioglie così il legame tra particolare e universale, su cui si fondano tanto la società civile quanto lo stato di diritto, aprendo all’enigma di una fine senza uscita: l’enunciazione, senza enunciato, di un’altra forma di legame sociale.

Miller, nel suo libro afferma: “Un’analisi è fatta di entrate e di uscite, dentro e fuori lo studio dell’analista. […] Entrare e uscire, è il ritmo dell’esperienza analitica”[1].Quindi, potrebbero (anzi, sono) più d’una, per l’analizzante come per il paziente, per chi si avvicina e per chi si vuole allontanare. Si tratta di un ritmo da tenere in considerazione.

“Un’allegoria della fine analisi– questo punto in cui, voltandosi, si può finalmente intravedere la figura di quello che era rimasto fino ad allora velato, quasi informe”[2], l’uscita può far prendere quindi una forma nuova al già noto. Sintomo, godimento, significante padrone, oggetti. Si svelano degli aspetti preziosi, rimasti fino a quel momento, sotto un’altra luce.

“Ma vista dall’uscita, cos’è un’analisi?”[3] Di quali uscite siamo stati testimoni nella nostra pratica?

“Ecco quel che si lascia alle spalle. E l’analista, all’uscita dell’analisi, è lasciato alle spalle dal visitatore, il passant. È come l’osso stesso, col quale non vi è più niente da farci”[4]. Una posizione estremamente complessa, quella di farsi lasciare alle spalle.

Con questo breve testo inauguriamo il dibattito preparatorio che ci porterà fino al nostro XXI Convegno “Le uscite dall’analisi”, al quale seguiranno altri contributi.

Un caro saluto e arrivederci a Milano!
Matteo Bonazzi e Florencia Medici.

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[1] J.-A., Miller, Come finiscono le analisi, Roma, Astrolabio, 2023, p. 73.
[2] Ivi, p. 74.
[3] Ivi, p.75.
[4] Ibidem.